
Amare significa esserci nel profondo, non esserci a tutte le ore.
Esserci nel profondo significa spengere i telefoni. Null’altro, senza scuse.
Amare non è comprare un gioco nuovo a settimana, perché non si ha un’ora libera per giocare.
Amare non è avere la collezione dei saggi sulla genitorialità e non saper guardarli negli occhi, in silenzio, per un attimo infinito.
Amare è avere il coraggio di scoprirsi, sbagliare, mostrare gli errori, chiedere scusa e poi fare meglio. Ma davvero.
Amare è praticare l’allegria e la leggerezza nelle piccole cose quotidiane, non rendere la vita un party continuo.
Amare non è incatenare, per paura di lasciarli liberi di crescere, per paura di sentirsi di nuovo vuoti.
Amare non è lasciar decidere a loro per paura di farlo noi.
Amare è dare la mano forte ma senza stringere, guidare ascoltando quanto desiderano essere guidati e moderare la presa se necessario, lasciarla se serve a loro.
Amare è aspettare, aspettare che ritornino, in silenzio, a tutte le ore, sempre.
Amare è scoprire le diversità tra noi e loro, e amare ancora di più incondizionatamente.
Amare non è sperare che sia come noi, o che non sia come qualcun altro. Amare è far sì che in ogni modo diventi sé stesso o sé stessa.
Amare è lasciar cadere, ed esserci per consolare, accogliere, abbracciare, e non giudicare.
Amare è avere il coraggio di dire no quando è giusto.
Amare è dire sì tutte le altre volte.
Amare non è lasciare allo stato brado, per il terrore di non essere in grado.
Amare non è giudicare, ma provare a comprendere e dire “si, ti capisco”.
Amare un figlio è darsi davvero, è offrire un porto sicuro, è crescere, tenendosi per mano.